La Costruzione dello Stato di biosicurezza in Italia (e altrove) – 3a parte. Propaganda, censura, diffamazione e persecuzione: verso il totalitarismo

di Peter Cooke

Negli occhi dello Stato internazionalizzato, controllato da una classe capitalista dominante preda di una crescente insicurezza economica e sociale, la salute si sta trasformando in biosicurezza. Dal punto di vista sanitario – cioè della protezione e della promozione della salute umana, sia fisica che mentale – la gestione ufficiale della pandemia da Covid-19 (analizzata in dettaglio nel secondo articolo di questa serie) è stata completamente fallimentare. Dal punto di vista della politica oligarchica invece, ossia della volontà di costruire un nuovo paradigma di governo basato sul controllo della popolazione tramite un apparato statale di biosicurezza, la gestione autoritaria dell’emergenza sanitaria ha permesso di compiere progressi notevoli.

Prima di offrire, nell’ultimo articolo della serie, un’analisi approfondita di queste conquiste liberticide, voglio in questo articolo esaminare certe tendenze sociopolitiche e psicologiche inquietanti che sembrano favorire la costruzione del nuovo Stato di biosicurezza.

Il progressivo svisceramento del sistema di democrazia parlamentare borghese è stato analizzato nel primo articolo di questa serie nel contesto della controrivoluzione neoliberista lanciata negli anni 1970. Ciò che ne rimane ormai è una mera facciata, un guscio vuoto. “Credo che dobbiamo oggi chiederci seriamente”, disse Giorgio Agamben durante un’intervista di maggio 2020, “se certe parole che continuiamo a usare – come democrazia, potere legislativo, elezioni, costituzione – non abbiano in realtà da tempo perso il loro significato originario.”[1] Infatti, ci ostiniamo ancora a parlare di “democrazia” in un’epoca palesemente post-democratica. Uno degli effetti inevitabili del trionfo del potere oligarchico del capitalismo neoliberalizzato è stata la “cattura” dei media mainstream.

Il ruolo propagandistico dei media

Agamben ha lamentato in un saggio del aprile 2020 “la limitazione di un diritto umano che non è sancito in alcuna costituzione. Il diritto alla verità.” “Quello che stiamo vivendo”, scriveva ancora, “prima di essere una inaudita manipolazione delle libertà di ciascuno, è infatti una gigantesca operazione di falsificazione della verità. Se gli uomini acconsentano a limitare la loro libertà personale, ciò avviene infatti perché essi accettano senza sottoporre ad alcuna verifica i dati e le opinioni che i media forniscono […].”[2]

È indispensabile a questo punto considerare l’importantissima funzione che svolgono i media nel sistema capitalista odierno. In una democrazia sarebbe essenziale la libertà di stampa, senza la quale il sistema democratico semplicemente non può funzionare. Anche in una democrazia rappresentativa parlamentare (che molto democratica forse non sempre è), per poter svolgere in modo significativo il suo compito di votante, il cittadino deve essere ben informato. La funzione della stampa, dei media, dovrebbe essere quella di tenere informati i cittadini, e nello stesso tempo di controllare il governo eletto, scrutando le sue azioni per renderlo responsabile davanti all’opinione pubblica. È questa la teoria. In pratica, però, la libertà di stampa non esiste quasi più.

Scrivendo sulla piattaforma inglese Open Democracy, Ed Jones afferma: “Mentre siamo in molti a non fidarci dei giornalisti, molti si fanno ancora illusioni sulla libertà e sull’indipendenza della stampa. In realtà non esistono.” La causa di questa situazione sconcertante sarebbe semplicemente che “la stampa è controllata dalle stesse persone che gestiscono tutto il resto”.[3] Infatti, negli ultimi decenni, il possesso dei media mainstream si è concentrato nelle mani di un gruppo sempre più ristretto di multinazionali.[4] “Grazie alle fusioni sancite dal Telecommunications Act [di 1996]”, scrive Kees Van der Pijl, “delle circa cinquanta imprese che si dividevano il mercato dei media negli Stati Uniti verso l’inizio degli anni 1980, ne sono rimaste solo sei. Questi giganti dei media transatlantici, agendo in combinazione con l’egemonia culturale anglofona, controllano in gran parte i flussi globali delle informazioni.”[5] Non solo, ma Tim Schwab ha svelato come un oligarca di primo livello come Bill Gates, anche se non possiede direttamente un impero mediatico, offre sussidi generosissimi a una larga gamma di media, in primis la BBC, seguita da NBC, Al Jazeera, ProPublica, National Journal, The Guardian, Univision, Medium, The Financial Times, The Atlantic, The Texas Tribune, Washington Monthly, Le Monde e il Center for Investigative Reporting. Verso la fine di 2018, il settimenale tedesco Der Spiegel ha ricevuto da Gates la somma di 2,5 milioni di dollari per scrivere sul tema della “Salute globale e lo sviluppo”.[6]

In un sistema oligarchico come quello che si è instaurato nel mondo occidentale neoliberalizzato, non c’è posto per la libertà di stampa perché il controllo delle informazioni offre una delle chiavi essenziali al controllo del popolo. Il ruolo dei media in un sistema pseudo-democratico, dove il demos gode di un certo potenziale per influenzare le decisioni politiche (potenziale sempre meno realizzato nella realtà), è stata descritta accuratamente da Noam Chomsky e Edward Herman nel loro libro seminale Manufacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media (1988): i media servono soprattutto a produrre il consenso pubblico in modo da far accettare le decisioni politiche ed economiche prestabilite dall’oligarchia.

Durante la pandemia i media mainstream hanno fatto uno sforzo immenso per imporre il pensiero unico, una singola interpretazione sincronizzata della realtà che sosteneva in modo quasi totalmente acritico le misure draconiane e inedite prese dalle autorità per gestire la crisi sanitaria. È sconcertante constatare che, in Italia, praticamente l’unica eccezione nella stampa cartacea a questo allineamento servile alla politica ufficiale è stata rappresentata da La Verità, giornale di destra a orientamento cattolico tradizionale, pubblicazione di vendite relativamente modeste (attualmente circa 36.700 esemplari al giorno). La Verità non solo ha regolarmente offerto opinioni critiche e spesso pertinenti della gestione della pandemia, ma ha pubblicato molte informazioni scientifiche censurate dagli altri giornali. In generale però, la narrativa pandemica presentata dai media mainstream si può caratterizzare, senza esagerazione, come pura propaganda.

Questa propaganda funziona con due modalità: da un lato, la produzione incessante di affermazioni, opinioni o “dati” ufficiali (sempre offerti senza l’analisi critica che ci vorrebbe); dall’altro, l’omissione di tutto ciò che potrebbe screditare questa narrativa. “I maggiori trionfi della propaganda”, scrive Aldous Huxley, “sono stati compiuti non facendo qualcosa, ma astenendosi dal fare. Grande è la verità, ma ancora più grande, dal punto di vista pratico, è il silenzio sulla verità.”[7] La percezione crescente della funzione essenzialmente propagandistica dei giornali italiani – che si è svelata recentemente anche nel modo in cui stanno trattando la guerra in Ucraina – potrebbe spiegare, in parte, il crollo delle loro vendite: nel 2018 La Repubblica vendeva circa 190.000 copie il giorno, contro 141.000 nel 2022; La Stampa, 146.000 contro 100.000. Le vendite (pur sempre modeste) della Verità, al contrario, sono in aumento.

Il terrore mediatico

La pandemia da Covid-19 non è la prima occasione in cui i media hanno orchestrato una campagna di terrore sanitario. Nel suo libro molto ben documentato Pandemia non autorizzate, Marco Pizzuti ha incluso un capitolo in cui discute quattro precedenti importanti, focalizzandosi però sull’ultimo. “Negli ultimi anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso il terrore almeno quattro volte”, spiega lo scrittore, “con previsioni apocalittiche riguardo all’evoluzione di nuove epidemie, come la mucca pazza (2001), la SARS (2003), l’aviaria (2005) e la suina (2009).”[8] In ogni occasione è stato il direttore generale dell’OMS a dare l’allarme con un annuncio solenne e drammatico prevedendo milioni di morti, e in ogni occasione queste predizioni si sono rivelate completamente fallaci. In ogni occasione i media sono stati complici di una propaganda ufficiale indirizzata a fomentare paura nelle popolazioni.

Abbiamo già discusso nel primo articolo della serie lo scandalo clamoroso della falsa pandemia dell’influenza suina del 2009. Notiamo qui invece, brevemente, la rappresentazione mediatica di questa “pandemia”, studiata utilmente da Pizzuti. Come nel caso della pandemia da Covid-19, gli esperti dell’OMS e dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e i vari virologi intervistati furono presentati come indiscutibili autorità e le loro dichiarazioni allarmistiche furono accettate acriticamente dai giornalisti che non hanno fatto nulla per indagare su quanto stava realmente accadendo; hanno fatto di tutto invece per alimentare la paura.

Come nell’occasione dell’emergenza sanitaria dichiarata verso l’inizio del 2020, nel 2009 i media hanno ricordato i milioni di vittime del passato per la peste nera (1347-1352), l’influenza spagnola (1918-1920) e l’influenza asiatica (1957-1960). Hanno scientemente suscitato paura con titoli allarmistici. Titoli tipici della Repubblica e del Corriere della Sera dell’epoca sono: “La paura arriva in Europa” (La Repubblica, 27 aprile 2009), “Febbre suina: la paura contagia l’America” (La Repubblica, 29 aprile 2009), “La grande paura del paziente zero” (Il Corriere della Sera, 3 maggio 2009), “L’isteria da contagio colpisce anche allo zoo” (Il Corriere della Sera, 4 maggio 2009), “Ondata di ansia” (Il Corriere della Sera, 10 maggio 2009), “Quando la paura del virus corre veloce” (La Repubblica, 4 luglio 2009), “Psicosi influenza A” (La Repubblica, 12 settembre 2009), “Psicosi bambini fra le famiglie” (La Repubblica, 2 novembre 2009).[9]

Allo stesso tempo, i giornali hanno utilizzato sistematicamente un vocabolario bellico, aumentando così l’effetto di apprensione già suscitato dai titoli, rappresentando il virus come un nemico invisibile in avvicinamento: “il fronte dell’OMS”, “assalto”, “assedio”, “prigionieri”, “conquistare il  mondo”, “pediatri sentinella”, “esercito”, “armi”, “killer”, “trincea”, “guerra all’influenza”.[10] In questo modo, i giornalisti hanno potuto fare leva su due delle paure più profonde dell’umanità, traumatizzata per millenni dalle catastrofi devastanti della peste e della guerra. Così si fomenta ad arte nella popolazione una specie di psicosi collettiva, rendendo le persone incapaci di ragionare con lucidità.

Ancora più suggestive delle parole sono quelle che Pizzuti chiama giustamente “immagini scelte con la cura della sceneggiatura per un film”. “Le numerose fotografie di uomini in tute anticontaminazione, con il volto coperto da maschere e le mani avvolte in guanti sterili”, continua Pizzuti, “evocano infatti scenari apocalittici, già paventati dall’universo cinematografico.”[11] Lo scrittore ha sicuramente ragione quando afferma che la funzione di queste immagini non è documentaria, ma “interpretativa e mitizzante”; sono infatti “immagini-simbolo” che arrivano ad evocare “un condensato di paura e preoccupazioni che si impone rispetto al contenuto informativo dei servigi”.[12]

In una cultura sempre più dominata dall’immagine visiva, una cultura satura di narrazioni drammatiche che parlano direttamente al livello emotivo e sub-razionale della psiche, le frontiere tra finzione e realtà diventano sempre più labili. Film hollywoodiani, documentari, spot pubblicitari e telegiornali partecipano alla stessa cultura narrativa drammatizzata. Per questo, le scene drammatiche diffuse costantemente dalla televisione durante la falsa pandemia suina evocavano con molta efficacia nella mente dello spettatore una “realtà” essenzialmente simbolica, una “realtà” imbevuta da finzioni cinematografiche. La nostra civiltà, che si vanta tanto della sua base scientifica, non coltiva in realtà la razionalità, come non coltiva il pensiero indipendente o la curiosità indagatrice. Coltiva invece il conformismo emotivo che fomenta soprattutto tramite una cultura dell’immagine.

La stessa identica strategia mediatica è stata messa in atto un decennio più tardi dopo la dichiarazione ufficiale di pandemia dal direttore generale dell’OMS. Il virus del SARS-CoV-2 è sicuramente più pericoloso del suo predecessore H1N1, ma le statistiche più affidabili, in primis quella del tasso mediano di mortalità per infezione, non giustificavano né il panico scatenato dai media, né il coprifuoco, né il lockdown, né la vaccinazione sperimentale di massa, né le altre misure estreme e spesso liberticide imposte dai governi occidentali. Ciò che serviva a giustificare queste misure era invece il clima di terrore creato dai media.

Ogni studente della semiotica, ossia la scienza della comunicazione umana, sa che il significato di qualsiasi immagine, di qualsiasi segno, è legato strettamente al contesto. Falsificare il significato delle immagini per ragioni propagandistiche è stata una tattica consueta usata dai giornali italiani durante la pandemia da Covid-19. Pizzuti offre l’esempio eclatante di un articolo del Corriere della Sera del 18 giugno 2020, con il titolo “Coronavirus, Brasile: un milioni di casi. Mfs: ‘Incubo fuori controllo’”. Già l’uso sistematico della parola “casi” per riferirsi ai positivi ai tamponi sarebbe da discutere, ma forse ancora più grave è il fatto che il titolo sia stato accompagnato dall’immagine di alcuni uomini con tute di massima protezione integrale, mentre erano intenti a scavare fosse per i cadaveri sulla spiaggia. Infatti, nell’immagine la spiaggia è piena di croci di legno piantate nella sabbia.[13] Il significato apparente della fotografia, che implicitamente illustra il titolo allarmistico, è ovviamente che il Brasile è preda di una vera e propria peste: così tanti sono i morti da Covid che non c’è più posto per i cadaveri nei cimiteri. Ma il contesto reale dell’immagine shock era tutt’altro: si riferiva a una protesta organizzata dagli oppositori del presidente Jair Bolsonaro (che si era dichiarato contrario ai lockdown) inscenata sulla spiaggia di Copacabana.[14]

Ogni immagine è capace di veicolare un significato simbolico; per questo il linguaggio, spesso menzognero, delle immagini visive riveste un ruolo così importante nella guerra dell’informazione che ha accompagnata “la guerra contro il virus”. Nessuna immagine simbolica ha avuto un impatto più profondo sulla psiche degli italiani – e anche su quella degli abitanti di altri paesi occidentali – di quella del convoglio di trenta camion militari che hanno sfilato in fila indiana davanti alle telecamere la notte del 18 marzo 2020. Secondo i media di tutto il mondo, i camion erano pieni di bare delle vittime da coronavirus (che da giorni venivano ammassate in un unico centro di raccolta).

Come nel caso dell’immagine della spiaggia brasiliana che sarebbe stata pubblicata tre mesi dopo dal Corriere della Sera, il significato di questo convoglio dipende dal contesto. Di primo achitto, la sfilata di camion militari sembrava indicare, nel modo più drammatico possibile, che così tante persone morivano di Covid che questa quantità inaudita di cadaveri aveva reso necessario l’intervento dell’esercito. Si trattava dunque di una vera e propria peste. Ma il successivo comunicato della Federazione delle Onoranze Funebri del 24 marzo 2020 (che i media mainstream si sono ben guardati dal pubblicare) spiegava, invece, che il problema vero non era il maggiore numero dei morti, bensì le regole logistico-sanitarie imposte dal Governo per la cremazione delle salme: “Ci occupiamo come settore di circa seicentomila decessi l’anno e il fatto che ci siano un migliaio di decessi in più dovuti a questo virus è ininfluente per il corretto snodarsi dell’attività. Il problema grosso è la logistica di stoccaggio di questi defunti perché a seconda del territorio, dove ci sono picchi di mortalità si vanno a congestionare gli ambiti di deposito in attesa del seppellimento o della cremazione.” La vera difficoltà nel Nord Italia era quella di provvedere al corretto smaltimento dei morti rispettando tutte le procedure speciali previste. [15]

Il vero scandalo, la vera vergogna indelebile di questa tragedia umana simboleggiata dal convoglio di camion pieni di bare era il trattamento disumano e assolutamente barbaro dei morti, inceneriti senza il conforto, senza la dignità del rito funebre. Infatti, Agamben ha sicuramente ragione quando afferma che in questo caso “la soglia che separa l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata”.[16]

“Siamo in guerra

Molti leader politici dei paesi occidentali hanno scelto di annunciare l’emergenza sanitaria ai loro popoli con la dichiarazione drammatica “Siamo in guerra”. Scrivendo sul Guardian nei primi giorni di marzo 2020, Simon Jenkins fu uno dei pochissimi giornalisti a esprimere un parere scettico sulla retorica bellica ufficiale, opinando che era “chiaramente diretta a incrementare il potere e sospendere la libertà”.[17] Questa retorica permette infatti alle autorità non solo di fare leva sulla paura del nemico – in questo caso, un nemico invisibile, dunque ancora più inquietante – ma anche di fare appello a sentimenti collettivi di patriottismo. Le implicazioni sono che siamo in guerra contro un nemico temibile, ma che se cooperiamo tutti, facendo tutti i sacrifici necessari, ce la faremo a sconfiggerlo. Chiunque non cooperi, o persino esprima dubbi su qualsiasi aspetto della nostra strategia, è un disfattista, un traditore della patria. In questo modo, il governo può facilmente indurre i cittadini a cedere i diritti civili, le libertà garantite dalla Costituzione. Dopotutto, siamo in guerra…

In un’intervista rilasciata a marzo 2020 commentando “l’isteria nazionale” e le libertà civili calpestate nel Regno Unito, l’eminente storico ed esperto di giurisprudenza inglese Lord Sumption osservò:

Il vero problema è che quando le società umane perdono la loro libertà, non è normalmente perché i tiranni l’hanno tolta. È normalmente perché il popolo cede volontariamente la sua libertà in cambio di protezione contro qualche minaccia che proviene dall’esterno. E la minaccia è normalmente una minaccia vera, ma esagerata. Temo che sia ciò che stiamo vedendo adesso.[18]

Abbiamo visto che memorie ancestrali delle epidemie di peste che hanno devastato l’Europa in passato sono state risvegliate per diffondere, con l’aiuto incessante dei media mainstream, l’idea che il popolo doveva essere protetto a tutti i costi da una malattia mortifera. In questo modo si giustificavano misure di repressione senza precedenti nell’epoca del dopoguerra. Le statistiche ufficiali però – quelle pubblicate per esempio a settembre 2020 dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti – smentivano questa narrativa allarmista. Quante persone, rimaste rinchiuse in casa senza lavoro o facendo la fila per farsi iniettare un vaccino altamente sperimentale sapevano che la probabilità statistica di sopravvivere al Covid fosse di 99,97% per la fascia di età da 0 a 19 anni, di 99,98% per la fascia di età da 20 a 49 anni, di 99,5% per la fascia di età da 50 a 69 anni e di 94,6% per gli over 70?[19] In realtà, il Covid-19 non è mai stato quella peste devastante evocata dall’isteria mediatica: nella prima fase dell’epidemia, la maggioranza delle vittime avevano almeno due comorbidità e erano anziani già arrivati verso la fine della loro vita naturale.

Già dal marzo di 2020, John Ioannidis dell’Università di Stanford, l’epidemiologo più citato al mondo, avvertiva che si stava preparando un fiasco. Era allarmato nel vedere che le autorità stessero prendendo misure draconiane sulla base di dati completamente inaffidabili sui numeri di persone che si stavano infettando e sulla maniera in cui si stava sviluppando l’epidemia. Stimando che il tasso di mortalità oscillava probabilmente tra il 0,05% e l’1%, concludeva che “chiudere il mondo in lockdown con conseguenze sociali ed economiche potenzialmente tremende potrebbe essere completamente irrazionale”. Ioannidis paragonava la risposta pandemica alle reazioni di un elefante aggredito da un gatto domestico: cercando di evitare il gatto, l’elefante frustrato finisce per buttarsi giù accidentalmente da un precipizio, uccidendosi.[20] Ma tali voci della ragione non vennero ascoltate dalle autorità che avevano già dichiarato la guerra contro il virus.

Come nel caso della propaganda diffusa dall’amministrazione del presidente Bush che esagerava smisuratamente il pericolo rappresento dall’Iraq di Saddam Hussein, la propaganda ufficiale rappresentando l’epidemia da Covid-19 come una minaccia esistenziale non è altro, in realtà, che una forma di terrorismo di Stato. Lo scrittore e ricercatore americano Edward Curtin ha paragonato gli attentati del 9/11 a New York con il Covid-19, due fenomeni che sono legati, secondo lui, soprattutto dallo sfruttamento della paura della morte in una società post religiosa, paura che “è stata strumentalizzata dall’élite per controllare le popolazioni e mettere in essere i loro progetti pianificati da molto tempo”.[21] Questa teoria del complotto (sostenuta ormai da non pochi autori) sarà esaminata più avanti nel quarto articolo della serie. A questo punto osserviamo solo con Mariano Bizzarri che già dal 2009 il finanziere francese Jacques Attali faceva affidamento sulle “paure strutturate” per “ridisegnare” la struttura delle nostre società: “Si dovrà organizzare una polizia mondiale, uno stockage mondiale dei farmaci e quindi una fiscalità mondiale. Si arriverà allora, molto più rapidamente di quanto non l’abbia consentito la sola ragione economica, a gettare le basi di un effettivo Governo mondiale.”[22]

La Censura

La censura imperversa ormai dappertutto, ma in special modo nella Rete, dove da anni un approccio sempre più aggressivo è stato adottato nelle “democrazie” occidentali .[23] Sin dall’inizio della pandemia, Google, Facebook, Twitter e gli altri giganti di “Big Tech” sopprimono sistematicamente il dissenso su temi centrali come l’utilità o meno dei lockdown, le origini del virus SARS-CoV-2, le cure per il Covid-19, l’utilità delle mascherine, l’efficacia e la sicurezza dei vaccini e l’esistenza di paradigmi alternativi per la gestione dell’epidemia. I proprietari di YouTube sono stati molto vigili in questo senso. Pizzuti offre l’esempio molto interessante di un’intervista alla dottoressa italiana Martina D’Orazio del 6 novembre 2020: la videoregistrazione è stata più volte rimossa dalla censura di YouTube e più volte ricaricata da diversi utenti.[24] L’intervista è stata censurata non perché offriva disinformazione, ma perché la dottoressa D’Orazio, che lavorava da psichiatra in un ospedale di Stoccolma, parlava della gestione della pandemia in Svezia in un modo non gradito ai promotori dei lockdown:

La Svezia ha adottato sin dall’inizio dell’emergenza Covid un atteggiamento in netta controtendenza rispetto agli atri Stati europei e extraeuropei. Non a caso i media internazionali, quindi italiani e non, hanno sfornato moltissime fake news fin dall’inizio della pandemia proprio perché la Svezia si stava comportando in tutt’altro modo, dicendo no al lockdown e a qualsiasi forma di restrizione della libertà.

La Svezia ha portato avanti sin dall’inizio questo tipo di politica proprio perché ha preso il Covid per quello che era, ovvero un virus che nell’80% dei casi è asintomatico, nel 15% dei casi dà una sintomatologia di tipo influenzale e solo nel 5% dei casi porta all’attenzione del medico, che non vuol dire in terapia intensiva, vuol dire che si ha bisogno di andare in ospedale, dove magari si ricevono cure con l’ossigeno ed eventualmente, per i casi più gravi, anche l’intubazione. Fermo restando che su dieci persone che entrano in terapia intensiva, otto escono in piedi.

La letalità del Covid, sulla base dei dati di cui siamo in possesso, è sovrapponibile a quella di una brutta influenza, cioè stiamo parlando dello 0,3%. Quando, per esempio, in Italia si diceva: “Ma è chiaro che in Svezia hanno adottato un altro tipo di politica perché lì sono quattro gatti”, non era vero. Stoccolma ha una densità abitativa di 5129,93 ab/km [più del doppio di quella di Roma], una popolazione complessiva superiore a quella di Torino e della provincia di Brescia, di Bergamo, di Verona e di tantissime province italiane, eppure non c’è stata nessuna ecatombe nonostante non sia stato fatto il lockdown, nonostante non siano mai state utilizzate le mascherine.

Le parole della dottoressa D’Orazio furono censurate perché smentivano completamente la narrativa ufficiale che il “Big Tech”, complice della “Big Pharma” e parte integrante del sistema capitalista, voleva sostenere a tutti i costi.

Un altro esempio eclatante di censura, questa volta ufficiale, è stato riportato recentemente su Telegram dall’avv. Mauro Sandri. Il 5 giugno 2022, l’avvocato postò un messaggio intitolato “L’avv. Marini bloccato da EMA su Twitter”. Il testo va citato quasi integralmente tanto sono gravi i fatti riportati e tanto il caso che descrive è emblematico della situazione attuale:

Giorni fa l’EMA ha pubblicato sul proprio account Twitter alcuni thread nei quali si evidenziava l’importanza delle vaccinazione anti-COVID nella fascia d’età 5-11, preconizzando altresì in autunno la disponibilità dei vaccini per le varianti; l’avv. Marini chiedeva attraverso il proprio account se si fosse trattato di nuovi vaccini o di aggiornamento dei vecchi, e se si fosse utilizzato il meccanismo dell’autorizzazione condizionata, malgrado l’emergenza fosse ormai finita (e dunque mancassero i presupposti per l’autorizzazione straordinaria). Lo stesso rimarcava altresì come dal discorso di Marco Cavaliere (il responsabile della strategia vaccinale dell’EMA) non emergesse alcun riferimento agli ormai noti effetti avversi, esprimendo perplessità su come potessero venir confermate le autorizzazioni condizionate attualmente concesse se anche gli stessi produttori dubitano di poterle ottenere (sul punto, esilarante quanto drammatico il report agli azionisti di Pfizer in cui la stessa società rappresenta questa criticità); dinanzi a tale sciatteria, l’avv. Marini prospettava l’ipotesi giù al vaglio della magistratura tedesca di indagare per tentato omicidio i sostenitori della vaccinazione anti-COVID che deliberatamente ignorassero gli effetti avversi, fornendo nel proprio tweet i link rilevanti a tal fine.

Ebbene… poco tempo dopo aver doverosamente riportato fatti (che peraltro sono di pubblico dominio), l’EMA decide di bloccare l’account dell’avvocato Marini; ora… chiunque può decidere di bloccare utenti e profili sgraditi, ma certo un’autorità dovrebbe avere delle buone ragioni per farlo, ed una precisa policy da rispettare per tali scelte. Diversamente, la stessa incorrerebbe in un’interruzione di pubblico servizio nei confronti di un utente senza che ciò possa trovare alcuna legittima giustificazione […] tale condotta è indubbiamente gravissima, poiché bloccare un avvocato che rappresenta legittimamente istanze suffragate da elementi di prova sta svolgendo il proprio lavoro, che non può certo subire pressioni, intimidazioni e men che mai censure di questa natura.

Ma di fatto la censura è ormai diventata una tattica molto diffusa. Quando un ente, pubblico o privato che sia, si trova in difficoltà di fronte a una critica imbarazzante o pericolosa delle sue azioni, una critica supportata da fatti che non sarebbe facile contestare, la difesa più efficace e semplice è quella di censurare il critico.

Delegittimare il dissenso

Occultare dal pubblico le informazioni e le opinioni scientifiche che potrebbero far dubitare che le misure pandemiche prese fossero veramente sensate e efficaci è stato dunque una delle strategie più importanti adottate dal “sistema”. Difficile però nell’epoca dell’Internet che qualche informazione o opinione non allineata non trapeli. La fonte di questo dissenso – soprattutto se proviene da scienziati eminenti – viene dunque screditata. Perché si tratta, in realtà, di una guerra dell’informazione, e nelle guerre ogni tattica che permetta di vincere è lecita. Non si entra in dibattito col nemico, lo si distrugge. In questo modo, scienziati e medici si sono trovati repentinamente trattati da nemici dello Stato.

Entrare in dibattito aperto coi critici della politica pandemica sarebbe stato una mossa sbagliata dalla parte delle autorità, perché molte delle misure adottate non sono avvalorate da evidenze scientifiche. Conveniva dunque delegittimare il dissenso con le armi psicologiche della propaganda, trattando il dissidente – fosse egli anche un grande scienziato o un medico praticante con molti anni di esperienza clinica – da “complottista”, “cospirazionista”, “negazionista”, “no vax” o “terrapiattista del vaccino”. Sono questi infatti i termini, essenzialmente propagandistici, utilizzati nel confronto di ogni critica e ogni dubbio espressi da chiunque osasse non sostenere la narrativa ufficiale secondo cui l’unico modo possibile di “sconfiggere” il virus fosse l’adozione di lockdown, coprifuoco, mascherine, vaccinazione sperimentale di massa e “Green pass”.

Il termine estremamente peggiorativo di “negazionista” è particolarmente insidioso, perché associa chiunque esprima dubbi sulla gestione della pandemia o sui dati ufficiali con coloro di estrema destra che cercano di screditare la storia ufficiale dell’Olocausto. Il “negazionista” è un infame. Citiamo qui un esempio tipico preso dal Corriere della Sera. L’occasione dell’articolo era il matrimonio di Riccardo Szumski, sindaco della cittadina veneta di Santa Lucia di Piave e medico attivissimo che ha guarito moltissimi pazienti dal Covid-19, utilizzando le terapie domiciliari precoci (discusse nel secondo articolo di questa serie).[25] Szumski è diventato un nemico dell’establishment, non solo perché promuove le cure che non hanno il diritto di esistere, ma perché combatte in prima linea contro la “dittatura sanitaria” (l’espressione è sua) come uno dei leader più carismatici nei movimenti di resistenza (esaminati nel quarto articolo di questa serie). Utilizzando il suo metodo propagandistico consueto, Il Corriere descrive il sindaco veneto come “la bandiera del popolo No Vax e No Mask” e “il paladino delle cosiddette ‘terapie domiciliari’ care alla comunità negazionista”.[26]

Durante la pandemia il termine “complottista” è stato usato ancora più frequentemente di quello di “negazionista”. Infatti, il termine “complottista” è da molti anni l’arma psicologica più potente nell’arsenale di quelle persone che hanno il compito di lottare incessantemente per sopprimere il dissenso e mantenere il pensiero unico. “Il concetto di teoria del complotto”, spiega un ricercatore americano, “ha la funzione di impedire l’esame discorsivo legittimo di sospetti di cospirazione. L’effetto dell’etichetta sembra inibire persino i pensatori più rispettati.”[27] La funzione principale della parola è in realtà quella di delegittimare a priori il discorso del dissidente. Il “complottista” è una specie di matto: non c’è alcun bisogno di dargli retta. Ovviamente, non è il caso di negare l’esistenza della realtà complottista, cioè il fenomeno inquietante delle teorie del complotto fuorvianti di estrema destra, teorie razziste o antisemitiche, ecc., ma non è questa la sede in cui esaminare queste tendenze sociopolitiche.[28]

Uno degli strumenti più importanti della campagna di diffamazione dei dissidenti è senza dubbio Wikipedia, che è diventata per molti la fonte principale della “verità”. Si parla perfino in questo contesto della “wiki-izzazione” della conoscenza. Tutti i critici prominenti della gestione e della narrativa ufficiali della pandemia da Covid-19 – anche scienziati eminenti – sono ormai trattati nell’enciclopedia online da disseminatori di “disinformazione”. Normalmente, questa è anche la prima cosa che il lettore trova su queste persone. Secondo Wikipedia, i loro commenti sulla pandemia sono stati screditati definitivamente dai fact-checkers. Ma l’autorevolezza e l’oggettività di quest’ultimi sono estremamente dubbie e forse non sarebbe sbagliato considerarli piuttosto come parte di una nuova Polizia del Pensiero orwelliana. Wikipedia, un ente apparentemente oggettivo che dovrebbe rappresentare le conoscenze collettive della comunità intellettuale, è diventata in realtà uno strumento oligarchico che lotta contro il dissenso nella spietata guerra dell’informazione.

Gli avversari dei lockdown “gettati in pasto ai lupi”

Nel contesto della repressione del dissenso, sarà istruttivo esaminare il caso di Martin Kulldorf, uno di quegli avversari dei lockdown che, per dirla con le sue parole, sono stati “gettati in pasto ai lupi”. Professore di Medicina presso la Harvard Medical School, Kulldorf è specialista della salute pubblica, con decenni di esperienza alle spalle nel campo delle epidemie di malattie infettive. Il professore non esita a descrivere la gestione della pandemia da Covid-19 come “il fiasco più grande della storia della sanità pubblica”. “Invece di capire la pandemia, ci hanno incoraggiati a temerla. Invece della vita, ci hanno dato i lockdown e la morte. Ci hanno dato diagnosi di cancro ritardati, risultati peggiorati di malattie cardiovascolari, salute mentale deteriorata, e molti danni collaterali inflitti alla salute pubblica dai lockdown. Sono stati colpiti più di tutti i bambini, gli anziani, e la classe lavoratrice.”[29]

Osservando all’inizio della pandemia in Cina il divario enorme nei tassi di mortalità tra gli anziani e i giovani, a Kulldorf era chiaro che il modo migliore di gestire l’epidemia fosse quello di proteggere gli anziani e le persone più vulnerabili, permettendo nello stesso tempo al resto della popolazione di mantenere in movimento la società. Kulldorf fu sorpreso di vedere invece che le autorità americane avevano deciso di chiudere le scuole e di lasciare senza protezione le case di riposo. Quando cercò di comunicare ai media i suoi pensieri in materia, trovò che, malgrado il suo stato di specialista eminente della gestione delle epidemie, le sue idee non interessavano a nessuno. “Era ovvio che qualcosa non tornava nei media”, scrive Kulldorf, “Tra gli specialisti di epidemiologia che conosco, la maggioranza era a favore della protezione dei gruppi ad alto rischio invece dei lockdown, ma i media facevano in modo di dare l’impressione che il consenso scientifico fosse a favore dei lockdown generalizzati.”

L’esempio della Svezia sembrava confermare che la gestione dell’epidemia negli Stati Uniti – e in tanti altri paesi occidentali – fosse sbagliata: durante l’ondata della primavera di 2020, gli svedesi hanno tenuto aperte le scuole per tutti i loro 1,8 milioni di bambini dall’età di uno a quindici anni, e l’hanno fatto senza sottoporli a tamponi, mascherine, barriere fisiche o distanziamento sociale. Questa politica risultò in precisamente 0 morti di Covid in quella fascia di età, mentre il rischio di Covid fra gli insegnanti era uguale a quello delle altre professioni. Le autorità sanitarie svedese resero pubblici questi risultati verso la metà di giugno, ma i proponenti dei lockdown negli Stati Uniti continuarono a spingere verso la chiusura delle scuole. Quando il New England Journal of Medicine pubblicò un articolo sulla chiusura delle scuole, non fece neanche menziono dell’evidenza proveniente dalla Svezia.

Finalmente, Kulldorf riuscì a suscitare l’interesse di Jeffrey Tucker dell’American Institute for Economic Research. Per aiutare i media a capire meglio la pandemia, decisero di invitare i giornalisti a incontrare degli specialisti nel campo dell’epidemiologia nella città di Great Barrington, New England. Kulldorf invitò due scienziati eminenti a raggiungerlo a Great Barrington, Sunetra Gupta dell’Università di Oxford e Jay Bhattacharya dell’Università di Stanford. I tre scienziati decisero di scrivere una dichiarazione a favore della protezione focalizzata invece dei lockdown. La chiamarono “The Great Barrington Declaration”.[30]

La dichiarazione, lanciata dai tre eminenti epidemiologhi provenienti da tre università rispettabilissime, provocò una forte reazione: “Scatenò l’inferno”, scrive Kulldorf. “Alcuni colleghi ci lanciarono epiteti come ‘matti’, ‘esorcisti’, ‘assassini di massa’ o ‘trumpiani’”, raconta il professore, “Alcuni ci accusarono di esser stati pagati per prendere posizione contro i lockdown, benché non avessimo ricevuto neanche un centesimo. Perché questa risposta così feroce? La dichiarazione era consona ai piani pandemici prodotti anni prima, ma era quello il problema. Senza poter opporre argomenti sanitari contro la protezione focalizzata, hanno dovuto ricorrere alla diffamazione, oppure confessare che, proponendo i lockdown, avevano commesso un errore tremendo, mortifero.” Kulldorf capì che gli attacchi non s’indirizzavano veramente contro di lui e gli altri due epidemiologi: “Noi avevamo già parlato al pubblico e avremmo continuato a farlo. Il loro scopo principale era quello di scoraggiare altri scienziati a parlare.”

“Diventando sempre più chiara la natura fallimentare dei lockdown”, continua Kulldorf, “gli attacchi e la censura si intensificarono anziché diminuire: YouTube (posseduto da Google) censurò il video di una conversione con il governatore della Florida, Ron De Santis, nel quale i miei colleghi ed io dicevamo che i bambini non avevano bisogno di adoperare la mascherina; Facebook chiuse l’account di GBD [“Great Barrington Declaration”] quando postammo un messaggio pro vaccino sostenendo la necessità di dare priorità agli anziani; Twitter censurò un post quando dissi che non c’era bisogno di vaccinare i bambini e le persone già infette dal Covid-19; e il Centers for Disease Control (CDC) mi tolse da un gruppo di lavoro sulla sicurezza dei vaccini anti-Covid quando sostenni che bisognava astenersi dal dare il vaccino di Johnson & Johnson agli americani anziani.”

L’esperienza di Kulldorf e dei suoi colleghi promotori della Dichiarazione di Great Barrington è stata quella di tanti altri scienziati e medici che hanno osato opporsi alla narrativa ufficiale e agli interessi dell’industria farmaceutica: aggressione, diffamazione e censura. “Siti web sono stati rimossi”, scrive il neorochirurgo in pensione Russell Blaylock, “medici molto competenti e di grande esperienza clinica ed esperti scientifici nel campo delle malattie infettive sono stati demonizzati, carriere sono state distrutte e ogni informazione dissidente è stata chiamata ‘disinformazione’ o ‘menzogne pericolose’, anche quando proveniva da esperti di primo livello nei campi della virologia, delle malattie infettive, della cura critica polmonare e dell’epidemiologia. Questo occultamento della verità accade persino con informazione scientificamente ben documentata da citazioni di alcuni degli specialisti medici più accreditati al mondo.”[31]

I promotori delle cure domiciliari perseguitati dallo Stato

“Desta particolare preoccupazione”, scrive Bizzarri, “il fatto che le terapie domiciliari – che comprendono oggi un ampio spettro di farmaci, dagli anti-infiammatori ai monoclonali – non vengano supportate e raccomandate come sarebbe necessario. Paradossalmente vengono invece perseguitati – letteralmente – i medici coraggiosi che si attivano per curare i pazienti ai primi esordi della malattia, evitando loro il ricovero in terapia intensiva.”[32] Infatti, nella lotta spietata che si svolge ormai contro il dissenso, il “sistema” non si accontenta più di usare gli strumenti della propaganda e della censura, e neanche quello della diffamazione; ormai siamo entrati in una fase di vera e propria persecuzione. Nel mondo sanitario lo strumento adottato a questo scopo è offerto dagli Ordini dei Medici.

Mauro Rango, di IppocrateOrg, associazione formata da medici italiani desiderosi di difendere il diritto e il dovere di curare i pazienti in scienza e coscienza, ha riportato recentemente su Twitter il caso del dottor Andrea Stramezzi, che il 14 maggio 2022 si è difeso senza la presenza di un legale davanti a quindici colleghi dell’Ordine dei Medici di Milano. Le accuse sono state molteplici, le due più gravi erano di aver usato farmaci potenzialmente pericolosi e di aver fatto parte, in passato, del Comitato Medico Scientifico di IppocrateOrg. Infatti, è stato Stramezzi a presentare all’associazione il primo protocollo di terapie domiciliari precoci. Il medico ha curato 6.000 pazienti Covid senza alcun decesso, utilizzando farmaci in uso comune, ammessi dell’AIFA, e acquistabili presso ogni farmacia. Adesso Stramezzi rischia di essere sospeso o persino radiato.

“Mi vergogno profondamente”, commenta Rango, “di appartenere alla stessa specie a cui appartengono i 15 medici che incolpano Andrea di aver… salvato TUTTI i pazienti curati. Perché questo è il vero capo d’accusa. Mi rivolgo ai 15 medici che eseguono ordini dall’alto, accantonando dignità e intelletti: siete di imbarazzo alla specie umana. […] Il vostro comportamento illogico farà aumentare la sfiducia e lo sdegno già insito in milioni di italiani.”

Nel contesto degli Stati Uniti, Blaylock riporta il caso recente della dottoressa Meryl Nass. “Colpevole” di aver prescritto l’ivermectina e di aver disseminato i risultati della sua esperienza da medico in questo campo, il Medical Board (Ordine dei Medici) del Maine ha sospeso la sua licenza e le ha ordinato di sottoporsi a un’esame psichiatrico.[33] Blaylock osserva che questo comportamento fa pensare alla metodologia del KGB sovietico nel periodo nel quale i dissidenti venivano rinchiusi nei gulag psichiatrici. Un caso di repressione ancora più grave è quello del professore francese di farmacologia Jean-Bernard Fourtillan, arrestato nella sua casa il 10 dicembre 2020, non per avere promosso cure “pericolose”, ma a causa delle sue rivelazioni esplosive sull’origine del virus. È stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico nella città di Uzès, dal quale è stato temporaneamente rilasciato dopo un’ondata di proteste a livello nazionale, solo per essere incarcerato di nuovo più tardi.[34]

Il condizionamento totalitario: l’analisi di Mattias Desmet

Mattias Desmet, professore di Psicologia clinica presso l’Università di Ghent, ha offerto durante varie interviste una chiave di lettura della pandemia che merita di essere esaminata attentamente. In particolare, il professore olandese ha spiegato i paralleli che, second lui, i fenomeni psicologici osservati durante la pandemia offrono con il processo di totalitarizzazione delle società.

Intervistato da Patrick Dewals nel marzo 2021, Desmet osservava che già prima dell’epidemia si era evidenziato da decenni un declino notevole della salute mentale della popolazione, che si era manifestato nell’aumento progressivo dei problemi di depressione e di ansia e nel numero crescente di suicidi, ma anche nelle assenze dal lavoro a causa delle sofferenze psicologiche e degli esaurimenti nervosi.[35] “L’anno prima dell’epidemia da coronavirus”, diceva il professore, “potevi sentire la crescita esponenziale di questo malessere. Questo dava l’impressione che la società stesse andando verso un punto critico dove una ‘riorganizzazione’ psicologica del sistema sociale diventava una necessità imperativa. Questo sta succedendo con il coronavirus. Inizialmente, abbiamo notato persone con poca conoscenza del virus sperimentare delle paure tremende, e si è vista una vera e propria reazione di panico sociale. Questo succede specialmente se in una persona o una popolazione c’è già una forte paura latente.” “Le dimensioni psicologiche della crisi attuale del coronavirus”, aggiungeva Desmet, “sono gravemente sottostimate.”

Il professore spiegava che una crisi agisce come un trauma che rimuove il senso storico di un individuo. Il trauma è percepito come un evento isolato, quando in realtà è parte di un processo continuo. “Per esempio, sorvoliamo facilmente il fatto che una parte significativa della popolazione si sentiva stranamente sollevata durante il lockdown iniziale, sentendosi liberata dallo stress e dell’ansia […]. Il lockdown ha spesso liberato la gente da un vicolo cieco psicologico. Questo ha creato un sostegno inconscio per il lockdown. Se la popolazione non fosse già stata esaurita dalla sua vita, e specialmente dal suo lavoro, non ci sarebbe stato tanto sostegno per il lockdown. […] Se non teniamo conto di come la gente è insoddisfatta della sua esistenza, non capiremo questa crisi e non saremo capaci di risolverla.”

Nella popolazione adulta, Desmet ha identificato tre fonti principali di paura: “Alcuni hanno paura soprattutto del virus. C’è gente che vive nella mia strada che quasi non osa uscire di casa. Altri temono le conseguenze economiche delle misure. E altri ancora temono i cambiamenti sociali provocati dalle misure contro il coronavirus. Temono l’emergere di una società totalitaria.” È l’analisi di quest’ultimo fenomeno che costituisce forse la parte più interessante dell’intervento di Desmet.

Nelle sue ricerche il professore s’interessa molto alla psicologia del totalitarismo. Vede un legame sinistro tra l’emergere di un tipo di scienza assolutista (un fenomeno che si osserva adesso) e il processo di manipolazione e totalitarizzazione della società. Desmet riassume nell’intervista con Dewals certi elementi importanti del libro fondamentale di Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, dove essa descrive come questo processo si era svolto nella Germania nazista e in altri paesi. Arendt osserva per esempio che i regimi totalitari nascenti hanno normalmente ricorso a un discorso “scientifico”, mostrando una grande predilezione per le cifre e le statistiche, che rapidamente degenerano in pura propaganda. L’esempio classico è quello dell’ideologia nazista basata sulla superiorità della razza ariana, supportata da tutta una serie di cosiddetti dati scientifici, che oggi sappiamo essere stati sprovvisti di alcuna validità scientifica.

Molto importante è il fatto che durante la fase pre-totalitaria di una società in crisi, i legami sociali normali si deteriorano e sorge nella popolazione molta paura indefinibile, molta ansia e frustrazione. La vita sembra priva di  significato. Tutte le paure che tormentano la società vengono riversate su un unico “oggetto” – per esempio gli ebrei – e le masse entrano in una specie di lotta energetica con questo oggetto. Su quel processo di condizionamento sociale delle masse si innesta una nuova organizzazione politica e costituzionale: lo Stato totalitario.

Secondo Desmet, si percepiva un fenomeno simile durante la pandemia da Covid-19. Le sofferenze psicologiche erano diffuse nella società e i legami sociali si erano deteriorati. Per molte persone la vita mancava di significato. Poi era arrivata una narrativa che indicava un oggetto di paura, il virus, dopo di che la popolazione proiettava fortemente la sua paura e il suo sconforto su questo oggetto temuto. Nel frattempo, i media chiamavano incessantemente la popolazione a combattere collettivamente contro questo nemico micidiale. Gli scienziati che portavano questa narrativa alla popolazione erano ricompensati da un potere sociale enorme. Il loro potere psicologico era così grande che, su loro suggerimento, la società intera ha rinunciato a tutta una serie di abitudini sociali è si è riorganizzata in maniera che nessuno avrebbe creduto possibile all’inizio del 2020. Desmet aggiunge: “Lavorare insieme contro il virus crea una specie di intossicazione che risulta in una focalizzazione enorme dell’attenzione, così che le altre questioni, come quella delle preoccupazioni per i danni collaterali, svaniscono nel sottofondo.” Secondo Desmet, si può percepire nella pandemia un processo totalitario per eccellenza.

Il professore ha parlato anche della nascente tecnocrazia, la credenza in una società governata da fatti e cifre scientifici. “Dentro una ideologia biologico-reduzionista, virologica, viene indicato il continuo monitoraggio biometrico e la popolazione continuamente è sottoposta a interventi medici preventivi, come le campagne vaccinali. […] Per i sostenitori di questa ideologia, non si può mai fare abbastanza per realizzare l’ideale della più grande ‘salute’ possibile.” Molto significativamente, Desmet commenta: “Ma quando disegnano tutte queste misure draconiane, i policymakers dimenticano che la gente non può godere di salute, sia fisica che mentale, senza un certo grado di libertà, di privacy e del diritto all’auto-determinazione, valori che questo punto di vista tecnocratico e totalitario ignora completamente. Benché il Governo aspiri a miglioramenti sanitari enormi per la società, le sue azioni rovineranno la salute della società. È questa tra l’altro una caratteristica basilare del pensiero totalitario secondo Hannah Arendt: finisce sempre per creare l’opposto esatto di ciò che perseguiva originariamente.”

Secondo lo psicologo olandese, il vaccino non è capace di farci uscire dal vicolo cieco attuale, perché “in verità, questa crisi non è una crisi sanitaria, è una profonda crisi sociale e perfino culturale”. Lo scenario previsto da Desmet è invece questo: “malgrado tutti gli studi promettenti, il vaccino non fornirà una soluzione. E la cecità indotta dal condizionamento sociale e dal totalitarismo biasimerà quelli che non accettano la narrativa e/o si rifiutano di farsi vaccinare. Ci sarà un tentativo di metterli a tacere. E se si riesce in questo, arriverà il temuto punto critico del processo di totalizzarizazione: soltanto dopo aver eliminato completamente l’opposizione, lo Stato totalitario mostrerà la sua forma più aggressiva. Allora diventa – per dirla con le parole di Hannah Arendt – un mostro che divora i suoi bambini”.

In un’altra intervista, Desmet ha spiegato che il totalitarismo inizia sempre con una “formazione di massa” all’interno della popolazione.[36] A differenza della dittatura, dove le persone obbediscono per paura del dittatore al vertice, nel totalitarismo le persone sono come ipnotizzate dall’obbedienza “per il bene della collettività”. Lo stato di coscienza chiamato “formazione di massa” avviene quando c’è o c’è stato un periodo di ansia fluttuante (free-floating anxiety), cioè un’ansia senza una chiara causa, ed è un passo necessario sulla strada verso un totalitarismo di Stato.

“Trovare una nuova coesione come collettivo crea una soluzione all’ansia”, spiega Desmet, “la narrazione e l’ideologia che riguardano la pandemia e i vaccini sono diventati ‘oggetto dell’ansia’. Quando l’ansia fluttuante ha trovato un obiettivo, un oggetto, la gente sente che l’ansia sparisce, ha un senso; si crea un significato e un senso di solidarietà. Quando questo accade, la gente cambia.” Questo cambiamento psicologico, frutto della formazione di massa, induce le persone a diventare “intolleranti e persino meschine e crudeli”. “Non possono tollerare o consentire il dissenso o voci dissonanti; non vogliono nemmeno sentire domande. Se si svegliano, la loro terribile ansia tornerà; chi gestisce la “formazione di massa” non può nemmeno permettere alla massa di svegliarsi, perché quando la massa si sveglia e vede la realtà si arrabbia con coloro che hanno creato il danno e talvolta li uccidono.”

I “no vax”, nemici dello Stato: la persecuzione dei dissidenti

L’emergere delle ideologie totalitarie nei primi decenni del ventesimo secolo rappresentava una risposta disfunzionale a una gravissima crisi economica, sociale e culturale. L’Utopia totalitaria sognata dai fascisti, dai nazisti e dagli stalinisti, come quella sognata dal maoismo, si è manifestata inevitabilmente nell’incubo della distopia tirannica. Perché il pensiero totalitario, sempre legato all’ideologia tecnocratica, è un pensiero disumano e disumane sono dunque le sue creazioni.

La nuova ideologia totalitaria che sta cercando di nascere in questo momento storico presente, anch’esso segnato da una profondissima crisi economica, sociale e culturale, si fonda sulla religione della scienza, e in particolar modo sulla scienza medica. “La salute si è sostituita alla salvezza”, osserva Agamben, “la vita biologica ha preso il posto della vita eterna e la Chiesa, ormai da tempo abituata a compromettersi con le esigenze mondane, ha più o meno esplicitamente acconsentito a questa sostituzione.”[37] La questione di dove ci potrebbe condurre questa crisi di civiltà sarà esaminata nel quarto articolo della serie. Qui vorrei soffermarmi sul fenomeno accennato da Desmet nel contesto del processo di totalitarizzazione della società durante la pandemia: la persecuzione dei dissidenti. Vista l’insistenza ufficiale e mediatica sulla vaccinazione come unica soluzione permissibile alla crisi sanitaria, un’insistenza che si è manifestata in una campagna di propaganda senza precedenti, sia per la sua intensità che per la sua scala mondiale, accompagnata, in certi paesi, come l’Italia, dall’imposizione, per certe categorie di persone, dell’obbligo vaccinale, la dissidenza di fronte alla “dittatura sanitaria” si è manifestata inevitabilmente nel rifiuto di farsi vaccinare.

Da decenni l’industria farmaceutica promuove nei media mainstream e sui social il termine peggiorativo “no vax” per stigmatizzare chiunque osi esprimere dubbi sull’efficacia o sulla sicurezza dei vaccini. Siamo ormai arrivati al punto che quasi nessuno si azzarderebbe a esprimere in pubblico qualsiasi opinione negativa su qualsiasi vaccino senza sentirsi in dovere di affermare a titolo di preambolo “Io non sono no vax, badate bene, ma…”. Infatti, i media sono riusciti a conferire al termine “no vax” connotazioni di immoralità come se dubitare di un vaccino fosse in qualche modo paragonabile a qualche delitto particolarmente vergognoso. In questo modo sono riusciti a paralizzare il dibattito pubblico sui vaccini. Da un altro punto di vista, siccome il vaccino è divenuto uno dei dogmi principali della religione ufficiale della scienza medica, il “no vax” è un eretico e gli eretici vengono perseguitati.

Nel contesto della gestione altamente politicizzata della pandemia da Covid-19, l’etichetta di “no vax” è stata affibbiata in modo sistematico ai critici della campagna di vaccinazione di massa, ma anche agli avversari della politica del “Green Pass”. I “no pass” erano naturalmente anche dei “no vax”. Ogni manifestazione in difesa dei diritti costituzionali dei cittadini veniva chiamata dai media “manifestazione dei no vax” (quando non veniva completamente ignorata). Non solo, ma come osserva Alessandro Rimoldi, “Se un medico (sia esso di base, un esperto virologo, o un Premio Nobel) si esprime in maniera contraria al vaccino (o nutre solo qualche dubbio o perplessità) viene screditato come un professionista inaffidabile, antiscientifico e come tale passibile di sospensione dall’esercizio della professione o di radiazione dall’albo. Ci sono cose di cui né la persona comune né l’esperto può più liberamente parlare… siamo a pieno titolo in una dittatura del pensiero.”[38] Aggiungiamo che la dittatura del pensiero è l’anticamera della dittatura vera e propria.

Se già da decenni la vaccinazione di massa è stata promossa sempre più energicamente dall’industria farmaceutica, a causa dei profitti enormi generati dai vaccini (che realizzano il sogno di vendere farmaci ai sani), e allo stesso tempo il rifiuto di farsi iniettare stava diventando progressivamente demonizzato, durante la pandemia da Covid-19 la politica della vaccinazione è entrata in una nuova fase che molti trovano estremamente inquietante. In questo nuovo contesto, la vaccinazione è stata presentata alla popolazione, preda di una profonda paura fomentata dal terrore mediatico, come la salvezza. Avendo soppresso in ogni modo le terapie domiciliari precoci (come abbiamo descritto nel secondo articolo della serie), è stato possibile presentare il vaccino come l’unica soluzione alla crisi sanitaria. In questo modo, è stato facile fomentare l’odio contro i “no vax”.

Nel contesto del nascente totalitarismo analizzato da Desmet, conviene notare che, come ci ha insegnato lo storico tedesco Ernst Nolte nei suoi scritti sul fascismo e sul nazismo, ogni regime autoritario deve creare una “attribuzione collettiva di colpa” come quella del Terrore della Rivoluzione Francese contro gli “accaparratori” o quella nazista contro gli ebrei. Questa “colpa” è, in realtà, quella di qualcuno che il regime ha individuato come un soggetto che non ha il diritto di esistere. Nella nuova ideologia della biosicurezza che la pandemia sta permettendo di sviluppare, quei cittadini che non vogliono sottoporsi alla vaccinazione, i cosiddetti “no vax”, sono dissidenti, e lo Stato autoritario li tratta come tali. Come scrive nel Leviatano (1651) il grande teorico dell’assolutismo Thomas Hobbes, “Lo Stato conserva nei confronti di chi dissente il proprio diritto originario, cioè il diritto di guerra, come nei confronti di un nemico.”

I “no vax” sono divenuti nemici dello Stato, e lo Stato ha fatto la guerra contro di loro. In Italia, questa guerra, nella forma classica dell’“attribuzione collettiva di colpa”, è stata dichiarata ufficialmente verso l’inizio di novembre 2021 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, durante un discorso pronunciato all’Università di Pavia. In quell’occasione, il Presidente ha trattato i cittadini italiani che non volevano vaccinarsi come una massa di licenziosi e irresponsabili. Ha addirittura accusato i non vaccinati di limitare le libertà altrui, un’affermazione che non trova supporto né nella scienza (si veda la nostra analisi dei vaccini anti-Covid nel secondo articolo della serie), né nella Costituzione, né nella logica. E il Governo, non i non vaccinati, che ha scelto di limitare le libertà dei cittadini italiani.

Più tardi, l’odio contro i non vaccinati è stato fomentato dal Governo con l’affermazione – non avvalorata dagli studi scientifici – dell’esistenza di una “pandemia dei non vaccinati”.[39] Significativo in questo senso è il titolo di un articolo di sintesi dei contenuti della conferenza stampa tenuta il 10 gennaio dal premier Mario Draghi: “I problemi di oggi dipendono dai non vaccinati”.[40] Si tratta di un’affermazione gravissima, priva di ogni fondamento reale, e, come il precedente discorso di Mattarella, serviva ad esasperare la divisione profonda che già esisteva in Italia fra chi si era vaccinato e chi no.

Prevedibilmente, la creazione da parte delle autorità, con l’aiuto entusiasta dei media, di un’“attribuzione collettiva di colpa” ha fomentato nella popolazione, già vittima di una formazione di massa, sentimenti di odio verso i non vaccinati. I nemici dello Stato sono diventati in questo modo anche nemici del popolo. Nella letteratura moderna, l’esempio classico del meccanismo autoritario dell’“attribuzione collettiva di colpa” è indubitabilmente quello dei “Due Minuti dell’Odio” che il regime politico in cui vive il protagonista del romanzo di George Orwell, 1984, imponeva a tutti i cittadini. Non a caso questo esempio fittizio indimenticabile è stato evocato da più di un commentatore a proposito della situazione italiana durante la pandemia.

La spaccatura sociale sulla questione della vaccinazione anti-Covid è stata gravissima in Italia, e responsabile di questa situazione deplorevole è stato soprattutto il Governo, che ha dato il là ai media. Così, Il Corriere della Sera del 18 novembre 2021 dava tranquillamente questo consiglio per la salute: “A Natale non entriamo nelle case dei non vaccinati. E non invitiamoli”.[41] Perché i non vaccinati – anche se in realtà non contagiano più dei vaccinati – sono i lebbrosi del nuovo medioevo e vengono tenuti da parte da “noi” vaccinati, anche se appartengono alla nostra famiglia, persino durante la festa natalizia, la stagione tradizionale della caritas, dell’amore per il prossimo. In questo modo subdolo si forma nelle menti la nuova ideologia della biosicurezza. Infatti, la questione della vaccinazione ha diviso molte famiglie, provocando gravissime sofferenze psicologiche.

Lo sdegno contro i non vaccinati si è anche espresso nella forma di commenti pubblici pieni di un odio violento. Il 27 gennaio 2022, “Giorno della memoria”, l’ex-magistrato Paolo Sceusa ha diffuso su Telegram una piccola antologia di questo tipo di commento. Cito qui alcuni esempi, sopprimendo però il nome degli autori, che si vergogneranno forse in futuro di avere enunciato queste infamità:

“Campi di sterminio per chi non si vaccina” (un cardiologo); “Mi divertirei a vederli morire come mosche” (un giornalista); “Se fosse per me costruirei anche due camere a gas” (un medico); “I cani possono sempre entrare. Solo voi, come è giusto, resterete fuori” (un giornalista); “Escludiamo chi non si vaccina dalla vita civile” (un giornalista); “Potrebbe essere utile che quelli che scelgono di non vaccinarsi andassero in giro con un cartello al collo” (un sindaco); “Stiamo aspettando che i no vax si estinguano da soli” (un giornalista); “Verranno messi agli arresti domiciliari, chiusi in casa come dei sorci” (un virologo); “Vorrei un virus che ti mangia gli organi in dieci minuti riducendoti a una poltiglia verdastra che sta in un bicchiere per vedere quanti inflessibili no-vax restano al mondo” (un giornalista); “I rider devono sputare nel loro cibo” (un giornalista); “Gli metterò le sonde necessarie nei soliti posti, lo farò con un pizzico di piacere in più” (un’infermiera); “Gli bucherò una decina di volte la solita vena facendo finta di non prenderla” (un’infermiera); “Provo un pesante odio verso i no vax” (un cantante); “Un giorno faremo una pulizia etnica dei non vaccinati, come il governo ruandese ha sterminato i tutsi” (un giornalista); “È giusto lasciarli morire per strada” (un medico); “Serve Bava Beccaris, vanno sfamati col piombo” (un giornalista); “Gli renderemo la vita difficile, sono pericolosi” (un Viceministro); “Non sarà bello augurare la morte, ma qualcuno sentirà la mancanza dei novax?” (un giornalista); “Se arrivi in ospedale positivo, il Covid ti sembrerà una spa rispetto a quello che ti farò io” (un’infermiera); “Sono dei criminali, vanno perseguitati come si fa con i mafiosi” (un infettivologo); “I novax sono i nostri Talebani” (un Presidente di regione).

Nel contesto del “Giorno della Memoria”, scelta dall’avvocato Sceusa come occasione per sottolineare, con tanti esempi raccapriccianti, l’odio sociale espresso impunemente contro i non vaccinati, non sembra fuori luogo rammentare, come hanno fatto alcuni commentatori, che la Shoah “non iniziò con le camere a gas” ma con un processo di normalizzazione legale della discriminazione. Espressioni pubbliche di odio contro una minoranza – in questo caso i cittadini italiani che hanno scelto di non farsi iniettare da una sostanza sperimentale – sono diventate socialmente accettabili in un contesto politico in cui anche lo Stato opera la sua persecuzione.

Certamente, bisogna tenere conto dei sentimenti delle comunità ebraiche, che si oppongono a quel che vedono come una strumentalizzazione politica di un genocidio unico nella storia. Ma allo stesso tempo, tenendo ugualmente conto di quel processo di totalitarizzazione della società percepito da Desmet e altri intellettuali, forse non è in verità inopportuno ricordare le parole celeberrime di Primo Levi, in Se questo è un uomo: “Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. Non iniziò con i 6 milioni di ebrei che persero la vita. E non iniziò nemmeno con gli altri 10 milioni di persone morte, tra polacchi, ucraini, bielorussi, russi, jugoslavi, rom, disabili, dissidenti politici, prigionieri di guerra, testimoni di Geova e omosessuali.” Secondo lo scrittore sopravvissuto, iniziò invece “con i politici che dividevano le persone tra ‘noi’ e ‘loro’. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza, nelle piazze e attraverso i mezzi di comunicazione. Iniziò con promesse e propaganda, volte solo all’aumento del consenso.” Ma soprattutto, sottolinea Levi: “Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando la gente divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse ‘normale’.”

Infatti, forse il più inquietante dei fenomeni distopici che la pandemia ha innescato nella società italiana è questo processo di normalizzazione dell’inaccettabile. È il segno di una società caduta in una profonda crisi morale.

Il clima di paura irrazionale del virus e di odio verso i non vaccinati, quegli “untori” irresponsabili, ha reso possibile l’imposizione del “Green Pass”, presentato alla popolazione da Mario Draghi, in termini squisitamente orwelliani, come “uno strumento di libertà”. Siccome non c’era mai, in realtà, alcuna giustificazione sanitaria per la discriminazione messa in essere dal “Green Pass” (visto che i vaccinati possono infettare quanto i non vaccinati e che la vaccinazione non ha arginato la diffusione del virus), dovrebbe essere chiaro che la funzione del “Green Pass” è puramente politica. Oltre che togliere la libertà a tutti i cittadini, ai quali non è più permesso di svolgere attività normalissime senza il permesso dello Stato, il “Green Pass” è uno strumento di discriminazione che rende i non vaccinati cittadini di seconda classe. A questo riguardo Agamben osserva: “Come avviene ogni volta che si instaura un regime dispotico di emergenza e le garanzie costituzionali vengono sospese, il risultato è, come è avvenuto per gli ebrei sotto il fascismo, la discriminazione di una categoria di uomini, che diventano automaticamente cittadini di seconda classe. A questo mira la creazione del cosidetto green pass.” Il filosofo scrive ancora: “Che il vaccino si trasformi così in una sorta di simbolo politico-religioso volto a creare una discriminazione fra i cittadini è evidente nella dichiarazione irresponsabile di un uomo politico, che, riferendosi a coloro che non si vaccinano, ha detto, senza accorgersi di usare un gergo fascista: ‘li purgheremo con il green pass’”.[42]

Lo strumento discriminatorio del “Green Pass” ha certamente permesso al nuovo regime di biosicurezza di “purgare” molti dissidenti. Rappresentando un pesantissimo ricatto, soprattutto quando il 15 ottobre 2021 è stato esteso a tutti i lavoratori italiani – “Se non ti vaccini, non puoi lavorare, non puoi guadagnare il tuo pane quotidiano” – il “Green Pass” ha sicuramente costretto molti italiani a farsi vaccinare, anche contro la loro volontà. La progressiva esclusione dei dissidenti dalla società è culminata con l’instaurazione del cosiddetto “Super Green Pass”, che escludeva i non vaccinati dai bar e ristoranti (anche all’aperto), dai musei e da ogni attività culturale, dai mezzi di trasporto pubblici, dalle banche e da quasi tutti gli uffici governamentali. Al non vaccinato non era permesso neanche di spedire una lettera all’ufficio postale. L’esclusione dalla società dei nuovi cittadini di seconda classe era dunque diventata totale. In questo modo l’Italia, paese “democratico” dove i diritti, in primis quello di poter lavorare liberamente, sono garantiti dalla Costituzione, è riuscito ad instaurare una vera e propia apartheid. Si può dubitare che questo episodio passi alla storia come uno dei momenti più gloriosi del Paese. Infatti, malgrado lo sdegno con cui tante persone respingono il termine “dittatura sanitaria”, non è difficile prevedere che gli storici del futuro paragoneranno questo episodio distopico con gli anni bui del fascismo.

Ma allo stesso tempo queste misure tiranniche – anche se la tirannia non è stata visibile a molte persone, accecate dalla formazione di massa o intellettualmente convinte della necessità assoluta della vaccinazione universale – ha anche rafforzato la volontà di molti dissidenti. Rifiutando di cedere davanti a una enorme pressione politica e sociale, i non vaccinati italiani sono gli irriducibili della resistenza. Auguriamo però che, in futuro, le divisioni profonde aperte nella società italiana dalla gestione discriminatoria e punitiva della pandemia possano guarire e che possa svolgersi un autentico processo di riconciliazione.

I temi importanti delle implicazioni politiche del Green Pass e dei movimenti di resistenza politica che questo strumento autoritario non è riuscito a schiacciare, saranno approfonditi nel quarto ed ultimo articolo della serie, dove intendo entrare nel cuore della questione centrale della costruzione dello Stato di biosicurezza.

[1] Giorgio Agamben, A che punto siamo? L’epidemia come politica [2020], Macerata, Quodlibet, 2021, p. 60.

[2] Ibid., p. 43.

[3] Ed Jones, “Five Reasons Why We Don’t Have a Free and Independent Press in the UK and What we Can Do About It’, Open Democracy, 18 aprile 2019: https://www.opendemocracy.net/en/opendemocracyuk/five-reasons-why-we-don-t-have-free-and-independent-press-in-uk-and-what-we-can-do-about/.

[4] Cfr. Laura Clementi, “Who Owns Who in Global Media?”, World Economic Forum, 28 luglio 2015: https://www.weforum.org/agenda/2015/07/who-owns-who-in-global-media/; Eli M. Noam, Who Owns the World’s media? Media Concentration and Ownership Around the World, Oxford University Press, 2016.

[5] Kees Van der Pijl, States of Emergency: Keeping the Global Populations in Check, Atlanta, Clarity Press, 2021, p. 82.

[6] Tim Schwab, “Journalism’s Gates Keepers”, Colombia Journalism Review, 21 agosto 2020, cit. Van der Pijl, pp. 82-3.

[7] Aldous Huxley, “Preface” (1946), Brave New World, Harmondsworth, Penguin, 1973, p. 12.

[8] Pizzuti, p. 201.

[9] Ibid., pp. 217-219).

[10] Ibid., p. 217.

[11] Ibid., p. 219.

[12] Ibid., p. 220.

[13] Si veda ibid., pp. 290-291.

[14] The Guardian News, 12 giugno 2020: https://www.youtube.com/watch?v=lzDJBHmTs2U/, cit. Pizzuti, n.666.

[15] Silvia Mancinelli, “Coronavirus, Federazione Onoranze Funebri: ‘Emergenza crea problema gestionale’”, AdnKronos, 24 marzo 2020, cit. Pizzuti, p. 299.

[16] Agamben, p. 31.

[17] Simon Jenkins, “Why I am Taking the Coronavirus Hype with a Pinch of Salt”, The Guardian, 6 marzo 2020.

[18] “Lord Sumption on the National ‘Hysteria’ over Coronavirus”, The Post, 30 marzo 2020: https://unherd.com/the post/lord-sumption-on-the-national-coronavirus-hysteria/.

[19] Centers for Disease Control and Prevention, “Covid-19 Planning Scenarios, Table 1, Scenario 5: Current Best Estimate”, aggiornato 10 settembre 2020: https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/hcp/planning-scenarious.html/.

[20] John P. Ioannidis, “A Fiasco in the Making? As the Coronavirus Pandemic Takes Hold, We Are Making Decisions Without Reliable Data”, STAT, 17 marzo 2020: https://www.statnews.com/2020/03/17/a-fiasco-in-the-making-as-the-coronavirus-pandemic-takes-hold-we-are-making-decisions-without-reliable-data/.

[21] Edward Curtin, “From Terrorists to Viruses: Dystopian Progress”, 7 settembre 2020: http://edwardcurtin.com/from-terrorists-to-viruses-dystopian-progress/.

[22] “Perspectives. Le blog de Jacques Attali”, L’Express, 7-13 maggio 2009, p. 138, cit. Bizzarri, p. 225.

[23] “‘Extremely Aggressive’ Internet Censorship Spreads in the World’s Democracies”, Michigan News, 17 novembre 2020: https://news.umich.edu/extremely-aggressive-internet-censorship-spreads-in-the-worlds-democracies/; Andreas Busch et al., “Internet Censorship in Liberal Democracies: Learning from Autocracies?”, in Managing Democracy in the Digital Age, a cura di Julia Schwanholz et al. (Springer, 2018), pp. 11-28.

[24] Pizzuti, pp. 284-90.

[25] Cfr. Grazie Dottor Szumski. Le testimonianze dei pazienti: il Covid si cura, a cura di Fabio Padovan, Leonardo Facco e Alessandro Fusillo, Bologna, Tramedoro, 2021.

[26] “Treviso, Szumski, il sindaco medico (e bandiera no vax) si è sposato”, Il Corriere della Sera (Corriere del Veneto), 11 luglio 2021: https://corrieredelveneto.corriere.it/treviso/cronaca/21_luglio_11/sindaco-medico-bandiera-no-vax-si-sposato-983d2aa2-e215-11eb-89ec-9ed2ee555ca0.shtml/.

[27] James Edwin Rankin, Jr., “The Conspiracy Theory Meme as a Tool of Cultural Hegemony: A Critical Discourse Analysis”: https://cognitive-liberty.online/the-conspiracy-meme-as-a-linguistic-tool-for-memetic-hegemony/.

[28] Si veda gli articoli di Franco Ferrari sulla “Storia del complottismo” su Transform!Italia.

[29] Martin Kulldorf, “Why I spoke out against the lockdowns”, Spiked, 4 giugno 2021: https://www.spiked-online.com/2021/06/04/why-i-spoke-out-against-lockdowns/.

[30] https://gbdeclaration.org/.

[31] Russell L. Blaylock, “COVID UPDATE: What is the Truth?”, Surgical Neurology International, 13 (167) (aprile 2022), p. 1: www.surgicalneurologyint.com: DOI: 10.25259/SNL_150_2022/.

[32] Bizzarri, p. 229.

[33] Russell L. Blaylock, “When Rejecting Orthodoxy Becomes a Mental Illness”, Hacienda Publishing, 14 agosto 2013: https://haciendapublishing.com/when-rejecting-orthodoxy-becomes-a-mental-illness-by-russell-l-blaylock-m-d/; Vivek Saxena, “Doctor loses medical licence, ordered to have psychiatric evaluation for Ivermectin scripts, sharing Covid ‘misinformation”, BRP News, 16 gennaio 2022: https://bizpacreview.com/2022/01/16/doctor-loses-licence-ordered-to-have-psych-eval-for-prescribing-ivermectin-sharing-covid-falsehoods-1189313/.

[34] Accomplished Pharma Prof Thrown in Pysch Hospital After Questioning Official Covid Narrative”, LifeSite, 11 dicembre 2020: https://www.lifesitenews.com/news/accomplished-pharma-prof-thrown-in-psych-hospital-after-questioning-official-covid-narrative/.

[35] Patrick Dewals, “The Emerging Totalitarian Dystopia: An Interview with Professor Mattias Desmet”, https://dailysceptic.org/archive/interview-with-mattias-desmet-professor-of-clinical-psychology/.

[36] https://www.youtube.com/watch?v=0Jk08gS9cSs/.

[37] Agamben, p. 90.

[38] Alessandro Rimoldi, “Il pensiero unico vaccinale (che ignora l’articolo 21)”, La Nuova Bussola quotidiana, 8 ottobre 2021: https://lanuovabq.it.it/pensier-unico-vaccinale-che-ignora-larticolo-21/.

[39] Günter Kampf, “COVID-19: stigmatising the unvaccinated is not justified”, The Lancet, 398 (20 novembre 2021); S. V. Subramanian e Akhil Kumar, “Increases in COVID-19 are unrelated to levels of vaccination across 68 countries and 2947 counties in the United States”, European Journal of Epidemiology, 9 settembre 2021: https//doi.org/10.1007/s10654-021-00808-7/.

[40] https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/covid-draghi-i-problemi-di-oggi-dipendono-dai-non-vaccinati_44201633-202202k.shtml/.

[41] Margherita De Bac, “A Natale non entriamo nelle case dei non vaccinati. E non invitiamoli”, Il Corriere della Sera “Salute”, 18 novembre 2021.

[42] Agamben, p. 115.

LEGGI LE PRIME DUE PARTI:

La costruzione dello Stato di biosicurezza in Italia (e altrove) – 1a parte. Lo svisceramento della democrazia: un progetto a lungo termine

La Costruzione dello Stato di biosicurezza in Italia (e altrove) – 2a parte

Pubblicato il 27/07/2022 su:

Potrebbero interessarti anche...