Efficacia negativa di vaccinazioni antiSars-CoV-2 con Omicron, dopo pochi mesi

di Alberto Donzelli

Gli israeliani hanno per primi attuato campagne di massa con la 3a dose di vaccino (Pfizer) anti Covid19, e sono i primi a dichiararne un’alta efficacia, ma con studi afflitti dai problemi interpretativi già descritti precedentemente, che qui si richiamano:

1) breve periodo di osservazione. Invece si dovrebbe ormai aver imparato che i primissimi mesi sono quelli di “luna di miele” con il vaccino, che protegge al massimo anche verso l’infezione. Ma la protezione dall’infezione è la prima a deteriorarsi, già dopo pochi mesi.

2) Si tratta di studi osservazionali, gravati da possibili fattori di confondimento perché i vaccinati possono avere in media comportamenti diversi dai non vaccinati o da chi non è stato sollecito nel fare il richiamo. In teoria le differenze tra i gruppi potrebbero andare in direzioni opposte: i vaccinati, più “health conscious”/più preoccupati per la propria salute, potrebbero applicare di più misure protettive non farmacologiche; o all’opposto potrebbero indulgere a comportamenti meno prudenti, per eccesso di sicurezza conferita dalla (più recente) vaccinazione.

In generale, una ricerca Gallup sugli adulti USA pare supportare la prima delle due ipotesi.[1]

3) Gli studi riguardano periodi di dominanza della variante Delta, e non mostrano cosa accade oggi con la Omicron.

Per quest’ultimo quesito abbiamo ormai le prime importanti risposte, perché sembra per paradosso che Omicron infetti in modo sproporzionato proprio i vaccinati (e chi ha superato l’infezione naturale).

In realtà i dati dell’UK Health Security Agency pubblicati ogni settimana mostravano che già con Delta nell’arco di mesi dalla 2a dose si aveva un declino della protezione vaccinale dall’infezione, fino a una sua negativizzazione, con più casi positivi nei vaccinati con doppia dose rispetto ai non vaccinati. Infatti, le slide dalla 22 alla 30 della mia presentazione del 23 gennaio nel Gruppo di Studio InfoVax EB [2] mostrano a partire dalla Settimana 36 (intorno a metà agosto ‘21) una chiarissima tendenza all’aumento dei contagi tra i vaccinati (x 100.000), confrontati con analogo denominatore di non vaccinati, in gruppi suddivisi in 8 classi di età abbastanza omogenee: <18, 18-29, 30-39, 40-49, 50-59, 60-69, 70-79, 80+. All’inizio l’effetto si evidenziava solo nelle classi dai 40 ai 79 anni, ma nell’insieme i vaccinati conservavano ancora un vantaggio assoluto (-17,2% di contagi nel confronto delle intere colonne vaccinati vs non vaccinati). Nelle Settimane successive, però, il vantaggio è stato via via eroso. Nella Settimana 43 (cioè a fine ottobre. NB: la Settimana indicata in ogni pubblicazione riporta i dati delle 4 precedenti, dunque in questo caso si riferisce all’intero mese di ottobre, quando ancora dominava Delta) si è verificato il sorpasso assoluto: l’intera colonna dei vaccinati ha presentato un eccesso del 2,5% di casi positivi rispetto a quella dei non vaccinati, includendo l’età pediatrica. Nelle Settimane successive, pur con l’interferenza frenante delle 3e dosi somministrate a partire dai più anziani, l’eccesso di casi positivi tra i vaccinati è stato sempre presente e ha teso ad aumentare, fino alla Settimana 2 del 2022 in cui ha raggiunto un +91%.

Nessuna delle spiegazioni abbozzate dagli autori dei suddetti Report sembra adeguata, a partire dal tentativo di rimandare, per valutare l’efficacia pratica vaccinale, a studi ad hoc citati nel testo, in cui però il follow-up dalla 2a dose si limita a due mesi. Dunque, di nuovo, in piena “luna di miele” con il vaccino, registrando risultati dimostratisi in seguito effimeri.

Ancora più chiari sono i grafici di una ricerca sulla popolazione danese [3] che mostra una protezione già mediocre nel primo mese (rispetto a quella vaccinale verso la Delta), che arriva a zero a tre mesi e a un significativo -76,5% (meno 76,5 per cento) in media a quattro mesi: si vedano le slide da 32 a 35 di [2]. La prosecuzione del monitoraggio mostrerà se questo andamento sia destinato a proseguire, come la pendenza della curva fa supporre.

Non si tratta, per altro, di casi isolati. I dati tedeschi del Robert Koch Institute vanno nella stessa direzione, come quelli della ricerca canadese dell’Ontario [4] – v. slide 36 di [2]. Una ricercatrice dell’Università della California [5] conferma che anche tra i bambini i tassi d’infezione sono maggiori tra i vaccinati, e che i richiami non si associano a una complessiva riduzione dei contagi.

Dunque Omicron sembra aver modificato radicalmente il quadro. Da un lato, benché molto più contagiosa, si sta confermando più mite della Delta. In California ha mostrato in proporzione meno della metà dei ricoveri (e del 70% più brevi), solo un quarto degli accessi in terapia intensiva e una letalità 11 volte minore.[6] Dall’altro, le vaccinazioni non sembrano affatto in grado di ridurre le infezioni, anzi dopo solo pochi mesi sembrano accompagnarsi a un eccesso di contagi tra i vaccinati, lasciando aperta anche l’ipotesi di un danno al sistema immunitario. Il fatto che si associno a una maggior protezione da forme gravi (protezione di persistenza discutibile, poiché Israele è ormai giunta alla 4a dose per tutti i >18 anni) rischia di essere bilanciato da un maggior carico di infezioni, con conseguenze a medio termine per i singoli vaccinati e per la comunità.

In ogni caso sembra cadere il razionale scientifico e una legittimazione costituzionale: per gli obblighi nei confronti di sanitari, insegnanti e altre categorie professionali, per il Green Pass nel modo in cui oggi è concepito e accordato, e per la prosecuzione delle campagne vaccinali nei confronti della grande maggioranza dei soggetti sani in età pediatrica. E – anche previa una pacata discussione al nostro interno – andrebbero rilanciate altre strategie di contrasto alla pandemia che richiamano i “cinque pilastri” oggetto da molti mesi di dibattito e approfondimento nel Gruppo di studio Info-Vax evidence based:

1) Prevenzione primaria ambientale

2) Prevenzione primaria comportamentale, basata su stili di vita salutari (oltre che su misure di profilassi non farmacologica evidence based e correttamente contestualizzate)

3) Profilassi vaccinale mirata, in cooperazione con l’immunizzazione naturale di chi ha superato l’infezione o ha scelto, per età e condizioni di salute, di percorrere questa strada assumendo opportune precauzioni (v. ad es. le slide 71-73 di [2] per quanto riguarda le Scuole, o i punti 4 e 5 qui di seguito)

4) Terapie precoci sicure, economiche, biologicamente plausibili, con ragionevoli prove di efficacia (v. ad es. slide 58-61 di [2]), ottenute in ricerche randomizzate controllate senza megasponsor commerciali né ricercatori in pesanti conflitti di interessi con gli sponsor

5) Abbandono di terapie prive di supporto scientifico e potenzialmente iatrogene.

  1. Americans Getting Out More, but Cautiously (gallup.com)
  2. Gruppo Studi Info-Vax EB | CMSi (cmsindipendente.it)
  3. https://doi.org/10.1101/2021.12.20.21267966
  4. https://doi.org/10.1101/2021.12.30.21268565
  5. https://www.altinget.dk/boern/artikel/vaccineforskere-coronavaccinationen-af-boern-og-ungeboer-revurderes
  6. https://doi.org/10.1101/2022.01.11.22269045

Pubblicato il 1/02/2022 su:

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